Con il progressivo processo di innovazione tecnologica, in atto nelle Istituzioni pubbliche da un decennio, sono nati percorsi di formazione dedicati alle tecnologie musicali di vario genere. Conservatori, Università, Istituti Musicali ed Accademie offrono corsi della durata compatibile al sistema europeo dei crediti che prevede per 1 credito formativo una didattica frontale di 8 ore più ore dedicate allo studio individuale. Questo sistema pertanto prevede che i corsi abbiano durate di 24, 32, 40, 48 ore. Ma sono realmente sufficienti per una professionalizzazione? Mi verrebbe di dire di no perchè la tecnologia musicale richiede molto tempo di applicazione sulle varie risorse software ed hardware, però occorre domandarsi se l’obiettivo didattico di tali corsi, e in generale dei percorsi formativi istituzionali, sia o no nella direzione della professionalità.
Sebbene molte di queste Istituzioni si siano dotate di aule attrezzate o abbiano stipulato convenzioni con strutture professionali preposte alla produzione musicale, il problema è che l’approccio alla materia è ancora nella maggior parte dei casi di tipo teorico in quanto mancano tempi e mezzi per poter dare a tutti gli allievi la possibilità di fare pratica reale (ovvero quella che consente di acquisire abilità e competenza a fronte di una conoscenza consolidata). Avendo esperienza diretta in queste tipologie di corsi, spesso il docente si trova a dover affrontare argomenti vari a classi anche numerose (più di venti allievi) avendo a disposizione una postazione singola. Questo tipo di organizzazione didattica prevede che l’allievo apprenda tutto ciò che è possibile vedere ed ascoltare e che si organizzi in proprio per mettere il tutto in pratica (e spesso tutto ciò è complicato). Anche nei casi di Istituzioni con laboratori che offrono più postazioni, se da un lato l’allievo ha possibilità di effettuare esercitazioni e quindi acquisire abilità, da un lato il docente si ritrova a dilatare la sua didattica e pertanto a ridurre il programma didattico se non ha la possibilità di aumentare il monte ore del proprio modulo.
Ricordo che durante gli anni in cui insegnavo informatica musicale all’Università di Bologna spesso si discuteva con i colleghi docenti sul fatto che l’Università avesse dovuto creare o no professionisti. C’era chi era d’accordo sulla necessità di fornire agli allievi la sola conoscenza e capacità di manipolare le informazioni senza entrare nel merito della professione dato che poi sarebbe stato il mondo del lavoro ad occuparsene, e chi invece era per l’integrazione di processi professionalizzanti. Il punto è che bisogna capire quanto si vuole ridurre la distanza tra lo studiare e il lavorare, tra il mondo accademico e quello professionale. Spesso si è cercato di trovare una soluzione per l’avvicinamento dei due mondi tramite operazioni di tutoraggio o con l’attivazione di stage, ma in entrambi i casi i risultati sono stati nell’insieme piuttosto deludenti. Per la creazione di professionalità occorre portare i sistemi di produzione nella didattica ma tutto ciò richiede tempi di erogazione didattica piuttosto corposi che non possono essere esauriti in moduli di così poche ore. Le competenze richieste ad un ragazzo che si laurea o si diploma nel campo della tecnologia musicale sono molte ed anche multidisciplinari pertanto anche prevedendo un percorso costituito da molti moduli di breve durata non assicura la competenza ed abilità necessaria mentre può dare una buona base di conoscenza.
Se il problema fosse racchiuso nel semplice quesito “creo o no allievi pronti alla professione?” la questione sarebbe semplice perchè è ovvio che la professione si attua nel mondo del lavoro (anche se occorre arrivarci preparati e dinamicamente attivi oltre che con il fatidico “pezzo di carta”). Ma c’è una questione aggiuntiva che riguarda poi l’abilitazione ad erogare didattica che è piuttosto spinosa perchè a mio avviso qui c’è un errore di sistema. L’abilitazione ad insegnare materie tecnologiche musicali presso Istituzioni pubbliche (scuole medie ad indirizzo musicale, licei musicali, conservatori, università, ecc.) richiede il possesso di titoli ad indirizzo musicale con specializzazione tecnologica o in alcuni casi con curricula didattici che abbiano qualche modulo di tecnologia musicale. Il risultato è che spesso ho avuto a che fare con docenti di tecnologia musicale nei licei con evidenti problemi di organizzazione didattica in quanto le loro competenze spesso non erano sufficienti per determinati argomenti (soprattutto quelli pratici quali ad esempio sequencing, recording) per mancanza di esperienza diretta.
Torniamo pertanto alla questione sollevata con l’articolo: i corsi di tecnologia musicale erogati dalle Istituzioni pubbliche debbono essere professionalizzanti? A mio modesto parere si ma occorre riformarli, trasformarli in sistemi dinamici. Occorre uniformare il programma e prevedere una meticolosa programmazione e strutturazione delle lezioni, tra conoscenza data ed abilità, competenza acquisita. Forse non sarebbe male se si pensasse ad un percorso specialistico sulla didattica e pedagogia delle tecnologie musicali applicate che tenga conto anche delle dinamiche dei sistemi di produzione. Così ad esempio potrebbe non essere più uno “scandalo” se accanto a CSound si cominciassero ad utilizzare programmi più adatti a sistemi in essere al mondo del lavoro basati sull’elaborazione audio e MIDI.
Questo tuo articolo sembra fatto su misura per me. Sono d’accordo con il tuo pensiero e, personalmente, sto facendo tutto il possibile per fare al meglio il mio lavoro di docente di tecnologie musicali. Purtroppo le Istituzioni sono carenti su questo fronte o arrivano in ritardo ma grazie a persone come te si trova un valido aiuto.
Maria