Introduzione al Mastering

di Luca De Siena (blog personale)

Spesso, soprattutto fra le persone che da poco si sono avvicinate alle tecnologie musicali,  si sente parlare del mastering come una sorta di processo alchemico, un rituale esoterico in cui l’officiante (l’ingegnere di mastering) attraverso una serie di processi segreti (nonché di invocazioni di antiche divinità mesopotamiche…), riesce a trasformare un brano che suonava malissimo, in un candidato al Grammy Award nella categoria “Best Engineered Album”.

Secondo questa logica, quindi, è inutile investire tempo e danaro in un buon microfono o in un buon missaggio in quanto l’innalzamento della qualità verrà sempre rimandato all’ultimo anello della catena produttiva. In realtà le cose, inutile sottolinearlo, non stanno affatto così. Anzi, a dire il vero, è esattamente il contrario: la qualità non si crea, al massimo si preserva e il mastering è, per certi versi, un processo distruttivo.

Se dovessimo dare una definizione di mastering potremmo semplicemente dire che è il processo che connette la fase di mix a quella di stampa del disco. Alla fine del mastering avremo, appunto, il “master” cioè il prodotto pronto per essere stampato o diffuso (via radio, internet etc.). Questo passaggio rappresenta l’ultima possibilità per correggere eventuali errori e fare scelte artistiche.

Quando mi capita di dover spiegare a qualcuno in cosa consiste il mastering di un traccia audio, mi piace utilizzare questa metafora: immaginate di dover mettere la fotografia di un prodotto artigianale su di una rivista specializzata. L’artigiano che l’ha confezionato avrà messo in campo tutta la sua maestria per realizzare il suo prodotto. Il fotografo si sarà sforzato di riprendere quel soggetto facendone risaltare le caratteristiche; ora a voi spetta il compito di colmare l’ultimo step fra la fotografia di quell’oggetto e la stampa di una sua copia sulla rivista; dovrete pertanto fare dei calcoli circa il ridimensionamento della foto all’interno della pagina, circa i colori che avrete a disposizione in stampa ed essere coscienti del fatto che, una volta stampata la foto sulla rivista, non ci sarà più possibilità di modificarla. Quello che vorrete fare sarà metterne in risalto tutti i pregi mascherandone il più possibile i difetti. Di conseguenza, in presenza di problemi evidenti all’interno della foto, avrete tre possibilità:

1. chiedere all’artigiano di correggere le imperfezioni del suo prodotto (l’equivalente delle fasi di composizione/arrangiamento/esecuzione),

2. chiedere a chi ha scattato la foto di farne un’altra in cui i difetti non siano così evidenti (ripresa microfonica/missaggio) o ancora, ove possibile,

3. intervenire con il vostro programma di fotoritocco (mastering).

Questo perché esistono problemi che sicuramente possono essere risolti con una buona padronanza del fotoritocco ma ne esistono molti altri che fanno parte proprio del soggetto fotografato o dello scatto e che, molto verosimilmente, risulteranno ancora più evidenti alla fine di quest’ultimo processo produttivo.

Continuando il raffronto con la fotografia, sappiamo che in post-produzione è possibile regolare la luminosità della foto, ritagliarla, saturarne i colori, eliminare macchie che erano presenti sulla lente etc. ma non posso cambiare la visuale dalla quale la foto è stata scattata e nemmeno cambiare la disposizione di tutti gli oggetti presenti nell’inquadratura (o almeno non senza deterioramento della qualità).  D’altra parte invece è molto facile farsi prendere la mano con le modifiche e finire col disintegrare totalmente la qualità ottenuta nella fasi precedenti.

Il mastering di una traccia audio infatti si comporta un po’ come una lente d’ingrandimento attraverso la quale saltano fuori tutti i dettagli… e tutti i difetti. Per questo motivo, primo compito della fase di mastering è quello di eliminare definitivamente tutte le imperfezioni raccolte lungo il processo produttivo. Se questa affermazione fosse vera in assoluto allora potremmo riconoscere davvero al mastering un potere magico e salvifico. Purtroppo, come abbiamo detto, non tutti i difetti sono risolvibili durante quest’ultimo processo e, non avere la possibilità di risolverli a monte, avrà come effetto quello di farci ritrovare gli stessi difetti ingigantiti alla fine del mastering stesso.

E’ anche vero che un disco privo di fastidiose imperfezioni cioè correttamente composto, registrato, arrangiato e mixato avrà la possibilità di massimizzare il suo potenziale sonoro se opportunamente masterizzato.

Eliminare i difetti e massimizzare la resa sonora non sono gli unici due compiti del mastering. Procediamo con ordine e vediamo quali sono le operazioni che vengono svolte durante questa fase produttiva:

  • Si importano i brani da masterizzare convertendoli tutti nello stesso formato
  • Si decide l’ordine delle canzoni sul disco (nonchè le pause)
  • Si correggono gli errori (glitch, rumori etc.)
  • Si amalgamano i brani presenti sull’album uniformandone i volumi, la risposta in frequenza e l’immagine stereofonica.
  • Si ottimizza la resa sonora dei brani rispetto al supporto su cui verrà stampato l’album (Cd, vinile, etc.)
  • Si esporta nel formato adatto al supporto di stampa

Importare i brani e convertirli nello stesso formato è una esigenza primaria: capita spesso di registrare un brano in uno studio ed uno in un altro studio; anche in fase di mix può accadere di mixare due brani a Roma e altri due a Londra o semplicemente far fare i mix a persone diverse anche se nello stesso studio. Ma come si uniformano le tracce per farle suonare come se fossero un disco unico? Questa è una delle prerogative del mastering che comincia proprio con l’importazione del materiale audio e la conversione dei mix nello stesso formato al fine di intervenire sui missaggi con lo stesso sistema. Salvo rarissime eccezioni infatti, mentre gli studi in cui i brani di un disco vengono registrati e mixati possono essere diversi, lo studio che produce il master è unico.

Un altro compito importante che ha il mastering è quello di decidere l’ordine delle canzoni sul disco. Apparentemente può sembrare un’operazione accessoria ma non lo è affatto: un disco è come un film, la disposizione dei brani deve essere pensata in modo da tenere sempre vivo l’interesse dell’ascoltatore. Ad esempio, scegliendo la sequenza delle tracce, si presta attenzione a non mettere di seguito sul disco due brani con la stessa tonalità per non annullare il contrasto fra i due e farli suonare come un continuum musicale (a meno che questo effetto non sia voluto!).

Le operazioni successive tendono ad uniformare (per quanto possibile) le caratteristiche dinamiche, spettrali e spaziali dei brani e a massimizzarne la resa sonora in base al supporto di stampa. Questo vuol dire che se il supporto di destinazione del mio album sarà sia il Cd-audio che il disco di vinile, dal mix di uno stesso brano dovrò ottenere due master diversi, ognuno con delle caratteristiche appropriate per il supporto di stampa.

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Informazioni su silviorelandini

sound designer, docente di tecnologie musicali (Conservatorio S. Cecilia, Saint Louis College of Music), direttore iitm
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4 risposte a Introduzione al Mastering

  1. Pingback: La catena di Mastering | tecnologiamusicale

  2. Antonio ha detto:

    Quando spedisco i brani allo studio che deve eseguire il master devo inviarli già mixati o da mixare? Grazie.

    • silviorelandini ha detto:

      Ciao, dunque il missaggio è sempre una fase precedente al mastering quindi devi inviare allo studio i brani già missati. Ricordati di fare molta attenzione alla finalizzazione del file da inviare allo studio di mastering (chiedi sempre conferma del formato, dei bit e della sample rate). Non inserire mai il dithering e fai molta attenzione nella compressione, equalizzazione ed eventuale normalizzazione. Evita di dare file a 0 dB.

  3. Raffaele Cervo ha detto:

    Cosa ne pensi dei processi paralleli come la compressione in mastering?

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