Il mastering: volume, dinamica e processori di dinamica

di Luca De Siena (blog personale)

Benvenuti al terzo appuntamento di questa serie di articoli dedicati al mastering. Questa volta parleremo di argomenti molto complessi ed estesi pertanto non mi dilungo troppo con le introduzioni e passo subito a parlare dell’argomento del giorno. Dopo aver cercato di smentire alcuni dei luoghi comuni legati a questo processo, passiamo invece a confermarne uno:

Dopo il mastering, i brani suonano più forte 

Con le dovute eccezioni – che cercheremo di chiarire all’interno di questo articolo – possiamo essere d’accordo con questa affermazione. Abbiamo detto che il mastering tende a massimizzare le caratteristiche di un programma musicale (cioè un flusso audio che varia nel tempo ed è costituito da ciò che definiamo musica) e tra queste ci sono quelle dinamiche. Purtroppo noi esseri umani siamo molto più sensibili alla variazioni timbriche/spettrali che a quelle dinamiche. Per questa ragione la parte più spinosa del mastering risiede appunto nell’applicazione dei processi dinamici.

Come prima cosa occorre mettersi d’accordo sulla terminologia: gain, dinamica, livello e volume non sono dei sinonimi intercambiabili e anzi, in alcuni casi, l’incremento di uno di questi fattori determina il decremento dell’altro. Ma procediamo con ordine.

Non mi dilungherò a parlare di decibel, che possiamo approfondire nel seguente articolo, pertanto diamo per scontato che si abbiano già chiari in mente questo concetti. Per riportare velocemente alla memoria di chi legge qualche nozione base, mi limiterò a dire che, data la natura del nostro udito che prevede un intervallo di valori di pressione vastissimo che va dai 20 ai 200.000.000 di microPascal con incrementi e decrementi non lineari, i dB ci aiutano, attraverso il rapporto fra un valore realmente misurato ed uno di riferimento (che per i dB SPL è il valore più basso, cioè 20 mPa), ad avere una scala più leggibile che si estende fra gli 0 e 140 dB SPL (Sound Pressure Level). Il valore 0 indica la soglia di udibilità, l’ampiezza minima necessaria affinché un suono sia udito, mentre il valore 140 indica una pressione sonora pari a quella emessa dal motore di un jet, cioè l’ampiezza massima sopportata dal nostro sistema uditivo nei pressi della quale si verifica la rottura del timpano. I dB vengono utilizzati anche in campo elettrico, analogico e digitale, solo che, essendo il valore di riferimento (lo 0 dB) il valore massimo possibile, tutti gli altri valori misurati saranno negativi, inferiori ad esso. Ci si accontenti di questo. Dire di più in questa sede sarebbe impossibile e comunque incompleto.

Perché abbiamo parlato di dB? Perché volume, dinamica, livello e gain hanno tutti a che fare con variazioni di dB. Passiamo quindi alle definizioni:

Il livello (di pressione sonora) è il picco massimo misurato in un dato istante temporale. Viene definito “livello di picco” e necessita di un misuratore in grado di reagire velocemente all’impulso e di decrescere lentamente per darci la possibilità di leggere il valore misurato: il peak meter. Il peak meter ci indica se il nostro segnale sta andando oltre lo 0 dB (vi ricordo che 0 rappresenta il valore massimo in campo elettrico!), deteriorandosi: “distorcendo”. Mentre nella fase di missaggio vi si presta grande attenzione, in mastering non si fa un grosso lavoro su questo valore. Solitamente ci si assicura solo che il valore di picco più alto del programma musicale coincida con lo 0db senza distorcere. Se innalzassimo solamente i valori di picco di un programma musicale non percepiremmo un grosso aumento di volume.

Per volume infatti si intende la sensazione soggettiva del livello medio di un brano. Il picco di un programma musicale è invece un valore istantaneo, un transiente veloce più alto rispetto al livello medio. Pertanto, per innalzare la sensazione di volume di un brano, non dobbiamo innalzare il suo valore di picco ma il suo valore medio o valore efficace. Questo valore viene detto valore RMS cioè Root Mean Square (radice quadrata della media dei valori). Lo strumento in grado di misurare questo valore è il VU meter che ha dei tempi di salita molto lenti ed è in grado quindi di attestare la sua misurazione attorno a valori medi del segnale. Come si aumenta il volume medio? Riducendo la dinamica. Perchè? Facciamo un piccolo esempio: abbiamo detto che quello che determina un innalzamento della sensazione di volume è l’incremento del valore di picco medio (RMS) piuttosto che di quello di picco (peak). Immaginiamo una pallina elastica che rimbalza in una stanza fra soffitto e pavimento; maggiore è la distanza fra soffito e pavimento e meno frequentemente la pallina toccherà il soffitto. Ma se la distanza fra soffitto e pavimento dovesse restringersi allora avremmo una maggiore frequenza di urti fra pallina e soffitto. Questa distanza tra soffitto e pavimento non è nient’altro che la dinamica.

La dinamica è un gradiente, sarebbe a dire la differenza fra il livello più basso (pavimento) e quello più alto (soffitto) di un programma musicale. Se immaginiamo che quel soffitto sia la superficie del nostro timpano, riducendo la dinamica, staremo aumentando la stimolazione di questa superficie innalzando quindi il valore medio del segnale… cioè staremo alzando il volume percepito! La musica classica ha una vasta gamma dinamica che si estende dal pianissimo al fortissimo ma suona molto meno “forte” di un brano dance o di un brano rock che vanno al massimo dal mezzo forte al fortissimo. Questo è esattamente l’effetto della inversa proporzionalità di volume percepito e gamma dinamica. Ma come posso restringere questa distanza tra valore più alto e valore più basso di un programma musicale? Ciò è possibile grazie all’impiego di un processore dinamico. Un processore dinamico è un dispositivo in grado di agire sul gain, cioè sul guadagno di un amplificatore, tenendo conto di alcuni settaggi. I processori dinamici si dividono in espansori di dinamica (expander e gate) e compressori di dinamica (compressore e limiter). Per adesso ci occuperemo solamente dei compressori dato che, come abbiamo detto, il nostro fine è quello di ridurre la gamma dinamica per guadagnare un po’ di volume. Ad ogni modo tutti processori di dinamica rispondono a questo schema base:

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Come si vede, il segnale in ingresso viene sdoppiato; una copia viene mandata direttamente all’uscita del processore passando però attraverso il modulo di Gain Control (il percorso in rosso). L’altra copia del segnale audio (seguendo il percorso turchese) viene invece inviata ad un circuito parallelo detto Side Chain ed usata solamente come segnale di controllo (cioè non viene udita ma è usata solo per controllare il processo). L’ampiezza del segnale in ingresso viene analizzata dal Detector e i dati ricavati vengono inviati al Gain Computer che comunica al Gain Control di quanto abbassare il gain del segnale in ingresso prima di inviarlo all’uscita. Questo tipo di processori altro non fa che abbassare il livello del segnale. Ma come si riesce ad ottenere un aumento del volume abbassando il gain? Questa “magia” avviene grazie al settaggio dei 6 parametri tipici di un processore di dinamica:

  1. Soglia (Treshold): determina da dove comincia l’intervento del processore. Nel caso dei comuni compressori, quando l’ampiezza del segnale oltrepassa questa soglia, il compressore comincia a lavorare per ridurre il gain;
  2. Ratio (Rapporto di compressione): determina di quanto viene  abbassato il volume in base ad un rapporto. ad esempio, un ratio di 1:1 fa sì che il segnale in uscita sarà identico a quello in ingresso; una ratio di 2:1 invece implica che per ogni 2 dB in ingresso che superano la soglia, ne esca fuori solamente 1;
  3. (Tempo di) Attacco: determina dopo quanto comincia il lavoro di abbassamento del gain una volta che il segnale ha superato la soglia;
  4. (Tempo di) Rilascio : determina dopo quanto termina il lavoro di abbassamento del gain una volta che il segnale è sceso sotto la soglia;
  5. Knee (“ginocchio”): Questo parametro, tramite le impostazioni soft o hard ci permette di determinare il comportamento del compressore nei pressi della soglia. Con un knee hard, la compressione inizierà bruscamente ma solo dopo che il segnale avrà superato la soglia. Con un knee soft l’entrata in compressione è più graduale e il lavoro del compressore comincia già su valori d’ampiezza inferiori alla soglia.
  6. Make-up Gain: questo parametro, talvolta impostabile in automatico, permette di avvertire la riduzione dinamica (e quindi l’innalzamento del volume) aumentando gain del segnale in uscita per per recuperare i dB persi in compressione.

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Tra i compressori di dinamica, tutti questi parametri appena descritti sono presenti solo sul compressore. Il limiter infatti è una versione più aggressiva del compressore, settato su una Ratio molta alta e fissa, tipicamente a ∞:1, sarebbe a dire che qualsiasi sia l’ampiezza del segnale che oltrepassa la soglia, esso viene ridotto a livello di soglia. Questo perché il limiter nasce come dispositivo di protezione per le apparecchiature, per evitare che segnali troppo intensi e improvvisi possano rovinarle. Per questo motivo il suo attacco è fisso ed è velocissimo (per reagire prontamente a segnali troppo intensi!). Il Make-up gain anche è automatico e solitamente gli unici parametri impostabili sono la treshold e il tempo di rilascio. Tuttavia in mastering, oltre a sfruttarne le capacità di prevenzione della distorsione dello stadio d’uscita, viene impiegato per le sue capacità di aumentare drasticamente l’RMS di un brano… ma questo non senza conseguenze sulla qualità dell’audio!

Immaginiamo nuovamente la solita stanza dotata di soffitto e pavimento. Questa volta però a saltellare al suo interno ci sono delle persone invece che una pallina elastica: Facciamo finta che il soffitto sia la treshold del nostro processore dinamico e abbassiamola per ridurre la dinamica e guadagnare volume; mentre il compressore, tramite la regolazione dell’attacco e della ratio, è in grado di comportarsi come un soffitto elastico, il limiter, con la sua ratio estrema e il suo attacco velocissimo, si comporta come un muro di cemento invalicabile contro il quale le teste delle persone si vanno a fracassare… (!!!)

Dopo la magnifica visione pulp, torniamo a riconsiderare gli effetti di questo comportamento sul segnale audio. Se ricordate, nel primo articolo di questa serie, abbiamo detto che il mastering è un processo distruttivo. Bè, la compressione e in particolar modo la compressione molto aggressiva, nonché il limiting, è un esempio lampante di processo distruttivo. Infatti, al posto delle teste dei poveretti dell’esempio, dovete immaginare che ci saranno i picchi, i transienti di attacco, del vostro programma musicale che non sono lì solo per assicurare una piacevolezza visiva alla forma d’onda! Per molti principianti fare mastering equivale solo ad innalzare il volume di una traccia, cosa che a sua volta equivale a mettere un limiter sul mix e tirarne giù la soglia. Abbiamo detto che il nostro orecchio, se non allenato, è tendenzialmente meno sensibile alle micro-variazioni dinamiche piuttosto che a quelle spettrali; ma proviamo ad osservare visivamente cosa succede:

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L’effetto di un limiter con una treshold molto bassa sullo stesso programma. Notate come il volume è stato incrementato drasticamente ma i rapporti dinamici fra i transienti sono stati stravolti (il picco che svettava a circa 2m4s è stato equiparato a tutti gli altri) e i picchi del segnale sono stati troncati di netto presso il valore di soglia!

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Ora, se, come abbiamo detto, l’innalzamento dei picchi non determina un grosso aumento di volume, il gioco sarà riuscire ad innalzare la sensazione di volume alzando il livello di quello che ha poca intensità, preservando il più possibile i picchi del segnale. Come riesco a farlo? Tralasciando la fase di attacco e lavorando sulle fasi successive del segnale (decay, sustain, release). Un modo classico per fare ciò è utilizzare un compressore con un rapporto di compressione minimo, inferiore anche ad 2:1 (tipicamente 1.5:1), una soglia molto bassa, un attacco lento e un release medio. Oh, ovviamente ricordiamoci che il compressore abbassa il gain, non lo aumenta! La possibilità di ottenere più “volume” riducendo il gain è frutto del controllo make-up gain (meglio se impostato su manuale) che, recuperando i dB persi, ci restituisce in uscita dal compressore un segnale con meno escursione dinamica, quindi con un volume maggiore.

lo stesso mix stereo sottoposto ad un processo di compressione più dolce. Se lo si confronta con la prima immagine si vede che il volume dell’onda è aumentato (di conseguenza è aumentato il livello sonoro percepito) ma al contempo, rispetto al limiting, sono state preservate le relazioni fra i transienti grazie alle regolazioni di attacco, rilascio etc.

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Ma quanto bassa deve essere settata la soglia? A quanto devo regolare i tempi di attacco e di release? Purtroppo non esiste una risposta univoca! Solo le nostre orecchie (e una sbirciatina agli strumenti di metering) sono in grado di farci determinare il settaggio giusto! Un tempo d’attacco sufficientemente lento da non intaccare i picchi del segnale si aggira all’incirca tra i 30ms e i 40ms. Il tempo di release è un parametro molto delicato: se settato troppo veloce introduce una distorsione nel segnale; alzandone il valore potremmo incappare nell’effetto “pompaggio”/”risucchio” che in molti generi è da evitare, specie se non ottenuto al tempo metronomico del brano; alzarlo ulteriormente potrebbe far sì che il compressore non esca dalla compressione in tempo per lasciar passare intatto il prossimo transiente d’attacco… occorre tantissima pratica! Ma le grane non finiscono qui: la compressione non altera solo i rapporti dinamici! La compressione, alzando di livello quello che era nascosto nel mix, porta fuori gli ambienti e agisce sul contenuto spettrale del programma musicale.

Insomma, se volete avvinarvi alla pratica del mastering, non dovete perdere tempo e dovete da subito piazzarvi davanti al vostro compressore con le orecchie ben tese per determinare ogni tipo di variazione, anche la più piccola che la modifica di un parametro induce.

Un altro esercizio che vi consiglio caldamente di fare è quello di prendere i vostri dischi preferiti e misurarne il valore di RMS medio nonché di dare un’occhiata alle relative forme d’onda.

Informazioni su silviorelandini

sound designer, docente di tecnologie musicali (Conservatorio S. Cecilia, Saint Louis College of Music), direttore iitm
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