Il sintetizzatore – seconda parte: la virtualizzazione

La virtualità, a partire dalla seconda parte degli anni ’90 ha dato la possibilità a tutti gli utenti di avere a disposizione potenti algoritmi di sintesi che, con pochi denari rispetto alle costose macchine hardware, offrivano la capacità di realizzare qualunque tipologia di suono grazie alla potenza di calcolo del processore del computer e alla memoria disponibile. Di contro, tutto questo ben di Dio costava in termini di dinamica (decisamente “sottile” rispetto alle macchine hardware equivalenti). Vennero creati algoritmi che simulavano sintetizzatori famosi che hanno fatto la storia della musica pop, rock ed elettronica:

minimoog virtuale (Arturia)

Prophet (Arturia)

Arp 2600 (Arturia)

Questi sintetizzatori virtuali emulavano piuttosto bene il suono dei loro corrispettivi hardware aggiungendo il vantaggio che il numerico può offrire (controlli grafici, memorizzazione non costosa di patch e preset, ampie librerie di suoni disponibili, integrazione semplice nei sequencer). La virtualizzazione dei sintetizzatori ha inoltre semplificato moltissimo la logistica di un home studio: meno hardware da dover utilizzare e programmare, meno cavi da collegare, meno corrente elettrica consumata. I collegamenti fisici MIDI tra i controller tastiera ed i vari sintetizzatori slave avevano la limitazione dei 16 canali dell’interfaccia MIDI e richiedevano anche un hardware specializzato MIDI (Trhu Box o patchbay MIDI) per semplificare la gestione di numerose macchine. All’interno di un sequencer questi limiti vengono superati dai collegamenti virtuali grazie ai quali si possono collegare decine e decine di sintetizzatori virtuali alle varie tracce mantenendo tuttavia lo stesso potenziale per ciò che concerne il collegamento verso hardware esterno attraverso l’interfaccia MIDI.

Ma la virtualizzazione ha consentito anche la creazione di nuovi sintetizzatori in grado di elaborare suoni suggestivi di tipo ambient/atmosphere che avevano suscitato molto interesse negli anni ’80 e ’90 quando uscirono il Roland D50 e la Korg Wavestation. Molto famosi in tal senso sono Absynth (Native Instrument) ed Omnisphere (Spectrasonics).

Grazie alla virtualizzazione è stato anche possibile realizzare ambienti di lavoro complessi in emulazione di sintetizzatori modulari analogici con il vantaggio di avere a disposizione molti moduli assemblabili tra loro in base alla potenza della CPU del computer in proprio possesso. Sicuramente i più utilizzati sono stati i vari Reaktor (Native Instruments), Tassman (Applied Acoustic System), grazie ai quali è possibile costruire strutture sonore molto complesse utilizzando anche algoritmi a modelli fisici.

Reaktor

Tassman player

Tassman builder

La virtualizzazione ha anche facilitato la realizzazione di ambienti indipendenti costituiti da sequencer+sintetizzatori e generatori sonori in grado di poter sviluppare autonomamente qualunque tipologia di materiale per sistemi di produzione vari. L’esempio più importante sicuramente è costituito da Reason (Propellerhead) un sistema dove sequencing, hard disk recording, e sistemi di sintesi e campionamento vari consentono ad un utente di produrre moltissimo materiale sonoro di diverso utilizzo.

Reason

Canale Youtube di Propellerhead.

Il sintetizzatore- prima parte

Informazioni su silviorelandini

sound designer, docente di tecnologie musicali (Conservatorio S. Cecilia, Saint Louis College of Music), direttore iitm
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